15/03/11

Debito pubblico: per ridurlo vendiamo pure l’oro di Bankitalia?

Dopo la patrimoniale, riproposta nelle scorse settimane in ambienti intellettuali vicino al centrosinistra, ecco una nuova idea destinata a far discutere: dismettere l’oro e le scorte di Bankitalia (in tutto circa 110 miliardi di euro) per ridurre una fetta dell’impressionante debito pubblico italiano che a gennaio è aumentato di 36,7 miliardi rispetto al mese precedente, raggiungendo quota 1.879,9 miliardi.La provocazione viene stavolta dalle associazioni dei consumatori (Federconsumatori e Adusbef), secondo cui il nuovo aumento del debito «equivale ad un gravame di 31.331 euro per ognuno dei 60 milioni di abitanti», ossia 4.242 euro l’anno per ogni famiglia, a cui occorrerebbe aggiungere 1.250 euro dovuti ai rincari di servizi bancari, bollette, pedaggi autostradali, Rc Auto, ecc.
Tuttavia, la dismissione delle scorte, oltre a limitare di poco l’enorme debito (in questo caso sarebbe più efficace la patrimoniale), avrebbe un effetto solo sull’immediato, ma non sul lungo periodo: se non si tagliano le spese dello Stato, è difficile poi, una volta ridotto, non far risalire ancora una volta il livello dell’indebitamento. E, quindi, fa bene Mario Draghi a tenersi stretto l’oro di Bankitalia. Con buona pace dei consumatori

Futures dell’oro in calo, paure per il nucleare in Giappone

Futures Pros - I futures sull'oro sono scesi martedì, in calo per la prima volta in tre giorni, poiché i timori sulla crescente emergenza nucleare del Giappone hanno innescato un selloff di azioni e commodities. La divisione Comex del New York Mercantile Exchange, ha scambiato i futures dell’oro con consegna ad aprile a 1.416,25 dollari l’oncia troy, durante la mattinata di scambi europei, con un calo dello 0,58%. Precedentemente è stato toccato il prezzo di 1.407,95 dollari l’oncia troy, il prezzo più basso dall’ 11 marzo.

All'inizio della giornata, il primo ministro giapponese Naoto Kan ha dichiarato l’alto rischio di dispersione di radiazioni dalla centrale di Fukushima Dai-Ichi, in seguito ad una nuova esplosione nello stabilimento colpito, questa volta al reattore numero 4.
L’indice Nikkei 225 è precipitato del 10,1% e ha chiuso al livello basso di due anni, mentre i mercati europei ha registrato grosse perdite dopo l'apertura, spingendo gli investitori a passare al denaro contante per coprire le perdite. L'indice del dollaro, che replica la performance del biglietto verde contro un paniere di sei principali valute, è aumentato dello 0,53% a 77,01 durante la mattinata di scambi commercio europei.

Una forte domanda di dollari scoraggia la richiesta di materie prime come investimento alternativo e rende più costoso il metallo espresso nella valuta più alta rispetto alle altre valute. Nel frattempo, il fornitore di servizi finanziari globali UBS ha alzato le sue previsioni mensili per l'oro a 1.450 dollari l’oncia troy, rispetto alla precedente stima di 1. 375, basato in gran parte sull'impatto previsto del terremoto giapponese.

USB ha dichiarato in un rapporto che il sisma in Giappone ha aumentato l'incertezza a livello mondiale, risultando in un "terreno fertile per l’aumento dei prezzi dell'oro più nel breve termine". L’argento con consegna a maggio ha perso l’1,76%, scambiato a 35,24 dollari l’oncia troy, mentre il rame con consegna a maggio è sceso dell’1,49%, scambaito a 4,157 dollari la libbra durante la mattinata di scambi europei.

Diamanti anti-tumore: più efficaci contro le forme resistenti

La resistenza di alcuni tipi di tumori alla chemioterapia potrebbe essere superata grazie all’avvento di una innovativa tecnologia. Ricercatori americani della Northwestern University di Evanston hanno realizzato minuscole particelle di carbonio, ribattezzate “nano-diamanti”, che possono trasportare più efficacemente le molecole all’interno delle cellule malate. Lo studio è pubblicato su Science Translational Medicine. Gli antitumorali possono risultate inefficaci per la capacità che le cellule hanno di espellere le molecole prima che abbiano compiuto la loro azione. Le particelle di carbonio hanno una dimensione di 2-8 nanometri di diametro, tanto minuscola che le cellule hanno difficoltà a respingerle. Nei topi trattati con i nuovi materiali contro il tumore al fegato i ricercatori hanno trovato che a due giorni di distanza dalla terapia i principi attivi erano 10 volte più alti rispetto alle terapie standard. Tra le possibilità supplementari offerte dai nanodiamanti c’è quella delka carica elettrostatica in superficie che permette una migliore distribuzione della sostanza citotossica. I diamanti, infatti, possiedono una carica elettrica che può essere modulata per permettere la diespersione nei fluidi. Inoltre non sono tossici e non sembrano causare infiammazioni. Contrariamente a quello che si può immaginare, essendo di produzione sintetica, i “diamanti anti-tumore” sono a buon mercato e quindi riproducibili su larga scala a costi convenienti.

Nei topi trattati con i nuovi materiali contro il tumore al fegato i ricercatori hanno trovato che a due giorni di distanza dalla terapia i principi attivi erano 10 volte più alti rispetto alle terapie standard. Tra le possibilità supplementari offerte dai nanodiamanti c’è quella delka carica elettrostatica in superficie che permette una migliore distribuzione della sostanza citotossica. I diamanti, infatti, possiedono una carica elettrica che può essere modulata per permettere la diespersione nei fluidi. Inoltre non sono tossici e non sembrano causare infiammazioni. Contrariamente a quello che si può immaginare, essendo di produzione sintetica, i “diamanti anti-tumore” sono a buon mercato e quindi riproducibili su larga scala a costi convenienti.
di co.col (14/03/2011)

THINK PINK: 10.09 CARAT FANCY VIVID PURPLE-PINK DIAMOND SET TO DAZZLE AT CHRISTIE’S MAGNIFICENT JEWELS SALE APRIL 12 IN NEW YORK

New York - Perhaps no greater phenomenon has electrified the global jewelry market in the past year than the skyrocketing prices achieved for large pink diamonds at auction.  In the last 15 months, four pink diamonds have fetched more than US$1 million per carat at auction, with Christie's leading the way with The Vivid Pink, a 5 carat cushion-cut diamond that sold for more than US$2.1 million per carat at Christie's Hong Kong in December 2009 - a record price per carat for any diamond sold at auction. 

Now, Christie's is pleased to announce it will offer a 10.09 Fancy Vivid purplish-pink diamond as the highlight of its April 12 Magnificent Jewels sale in New York. This exceptional diamond, with its highly desirable cushion cut, is estimated at US$12,000,000-15,000,000.

“Collector demand for large colored diamonds has never been stronger, especially where pink diamonds of this size and quality are concerned.  Fewer than 10 percent of all pink diamonds mined weigh more than 0.20 carats, and even fewer exhibit the exceptional color saturation and brilliance of this exceptional gem.  In all my years at Christie’s, I have never seen such vivid color in a stone of this size,” said Rahul Kadakia, Head of Jewelry at Christie's New York.“At Christie’s New York this past December, jewelry collectors competed for a 6.89 carat Fancy Vivid purplish-pink diamond, which ultimately sold for $6.9 million or $1 million per carat.  This larger stone, with its richer, deeper hue of pink and electrifying purple tone is positioned to become one of this season’s top-selling diamonds.”

MARKET UPDATE:  PINK DIAMONDS
In recent years, prices for top-quality colored diamonds have increased rapidly, driven by both collector demand and increasingly limited supply. Pink diamonds of this type gain their highly desirable color as a result of a rare, naturally-occurring slippage of the crystallographic lattice in the stone while it is forming deep within the earth’s crust.  Only a few mines in the world produce pink diamond rough, and of the stones that are cut and polished, only one in about 10 million diamonds will possess a color pure enough to be graded as “Fancy Vivid”. As the market leader in jewelry auctions for 17 years running with a worldwide sales total of $426.4 million in 2010 Christie's has offered for sale some of the world’s greatest and most historic pink diamonds, including The Agra, a 17th century Fancy Light pink Golconda diamond of 32.24 cts sold at Christie’s London in June 1990 for US$6,959,780, and The Rose of Dubai, a Fancy Pink internally-flawless pear-shaped diamond of 25.02 cts sold at Christie’s New York in October 2005 for US$6,008,000.
More recently, per-carat prices for large pink diamonds have surpassed those for colorless diamonds, and now rank as the most expensive of colored diamonds on the auction market. 

Top prices for pink diamonds sold at Christie's include:


The Perfect Pink
A Fancy Intense pink rectangular-cut diamond of 14.23 cts
Christie's Hong Kong – November 29, 2010
US$23,165,968
US$ 1.6 million per carat
World Record Price for any Jewel Sold at Auction in Asia


The Vivid Pink
A Fancy Vivid pink internally-flawless diamond of 5.00 cts, by Graff
Christie’s Hong Kong – 1 December 2009
US$10,776,660
US$ 2.1 million per carat
World Auction Record Price Per Carat For Any Diamond


A Fancy Vivid purple-pink diamond of 6.89 cts
                                                                                             
US$ 1.0 million per carat



The Rose of Dubai Diamond
A Fancy Pink internally-flawless diamond of 25.02 cts

Christie’s New York – October 19,2005

US$ 6,008,000

Expo Luxe 2011 Roma – si sposta a Palazzo Ferrajoli

L’ Expo Luxe- salone del lusso di Roma, con la seconda edizione avrà come location Palazzo Ferrajoli, posto in Piazza Colonna, di fronte a Palazzo Chigi. Al suo interno verranno esposti veri pezzi di prestigio, limited edition, gioielli, tessuti, cibi, liquori, vini, opere d’arte, saranno al centro dell’attenzione per buyer e visitatori. L’evento, organizzato da Ajcom e World & Pleasure magazine, rimarrà aperto dal 15 al 18 settembre 2011, 4 giorni durante i quali i visitatori potranno guardare i vari prodotti esposti, in cui si svolgeranno incontri B2B per accrescere e massimizzare business, il tutto in una cornice di lusso a 360 gradi.

L’origine delle gemme, un valore aggiunto

Indicare la provenienza per gli antichi era una forma di marchio DOC ante litteram. Quando Plinio ci fornì la prima trattazione sistematica delle pietre preziose, queste erano sottoposte ad indagini con metodi poco sofisticati ed empirici. Ecco che gli attributi riferibili alle gemme erano proprio le regioni di provenienza che attestavano insieme la genuinità ed il valore del materiale. E così in epoca a noi più vicina, il grande scienziato islamico Ahmad Ibn Iusuf At-Tifasci sette secoli fa celebrava gli impervi corsi d’acqua del Sarandib, nome arabo dell’attuale Sri-Lanka, perché contenevano i più rari diamanti e zaffiri di bellezza, per l’appunto, garantita dall’origine. Da allora fino ai nostri giorni il nome delle singole miniere d’estrazione s’è mostrato una sorta di marchio di qualità, una precoce forma, elementare ma efficace, di brand.
Al contrario la provenienza geografica non è stata considerata nella moderna gemmologia un elemento decisivo per la diagnosi, dovendosi render conto essenzialmente della determinazione della natura della pietra, se questa sia un genuino prodotto del sottosuolo, se abbia subito trattamenti o se sia invece un manufatto confezionato interamente in laboratorio. Tuttavia in tempi più recenti gli studiosi hanno orientato il timone della ricerca verso l’individuazione delle aree minerarie di origine. Ciò è avvenuto soprattutto per l’impulso decisivo di uno dei padri dello studio delle inclusioni, E. Gubelin. La sua è stata una straordinaria indagine di quelle tracce che nelle pietre di colore potessero aiutarne l’identificazione. Il suo metodo, iniziato a metà del secolo scorso, si è basato sulla meticolosa raccolta di migliaia di campioni, prelevati con più riscontri ed accertamenti, dai luoghi d’estrazione. Questo repertorio ha consentito di tracciare in modo documentato quelle inclusioni e quei fenomeni che caratterizzano le gemme provenienti da una determinata area geografica. Le ricerche di Gubelin hanno rafforzato il prestigio dei certificati emessi dal proprio laboratorio e non è un caso se ancora oggi siano tra i preferiti dalle più prestigiose case d’asta internazionali assieme a quelli rilasciati dal GIA o SSEF, solo per nominarne alcuni. Più di recente si stanno evidenziando sviluppi interessanti che riaffermano l’importanza della determinazione della provenienza ai fini della valutazione delle pietre preziose. I nostri lontani predecessori non erano dunque fuori strada quando associavano qualità ad origine, anche se i loro resoconti non potevano che essere permeati di leggende e superstizioni.
Dal lavoro di E. Gubelin in poi l’origine geografica è ricollegata dunque al valore delle pietre di colore.
È parere comune, per l’inevitabile consolidarsi dell’opinione dei più, che, ad esempio in generale gli smeraldi colombiani di Chivor e Muzo siano più attraenti di quelli brasiliani o che gli zaffiri provenienti dal Kashmir siano sempre i più pregiati. Queste antiche e stratificate graduatorie stilate per origine geografica sono comunque da considerarsi approssimative perché è opportuno tener conto che le gemme veramente notevoli sono una piccola percentuale della copiosa quantità estratta e tagliata: la qualità non è pertanto sempre mera conseguenza dell’origine. Sul mercato di Bangkok, ad esempio, da anni le quotazioni dello zaffiro del Madagascar gareggiano con quelle del celebre Ceylon. Ma quest’ultimo continua ad essere percepito come un simbolo d’eccellenza. Esempi analoghi possono riguardare i rubini africani di Winza rapportati ai birmani di Mogok. In un caso la provenienza geografica ha finito per indicare l’intera varietà, un esempio su tutti: le tormaline elbaiti africane, nella varietà verde-azzurra contenenti un alto tasso di rame sono lecitamente designate come Paraiba, col nome cioè dello stato brasiliano che le ha rese famose. Si devono dunque prima verificare le doti intrinseche della gemma. Se a queste poi il gemmologo riesce ad associare l’esatta provenienza si avrà forse del valore aggiunto.
Ma come si procede, in pratica, nell’identificazione dell’area geografica di origine?
La base imprescindibile del protocollo consiste nel disporre di un campionario di gemme di provenienza certa il più rappresentativo e completo possibile. Può sembrare banale ma, probabilmente questo è uno degli aspetti più critici per una serie di motivi. Il primo è senz’altro la difficoltà oggettiva nel raggiungere i depositi di estrazione, tradizionalmente situati in zone poco accessibili e in regioni che presentano spesso problematiche anche di tipo politico. Giunti in prossimità della miniera si corre poi il rischio concreto di vedersi rifilare materiale sintetico, molto spesso preformato ad arte per simulare grezzi naturali. A tal proposito vale la pena di ricordare quella che tra gli addetti ai lavori è nota come legge di Hughes (da Richard W. Hughes, celebre gemmologo esperto di ricerche sul campo): più si è vicini alla miniera, più è facile che vi vengano offerte pietre sintetiche. La collezione dei campioni di riferimento deve a questo punto essere sottoposta a tutti i test possibili per la costruzione di un database di caratteristiche peculiari. I cristalli vengono fotografati, misurati, analizzati seguendo i protocolli gemmologici standard. Di importanza fondamentale l’analisi microscopica delle caratteristiche interne e l’identificazione delle inclusioni cristalline mediante spettrometria RAMAN. Da ultimo lo studio degli spettri caratteristici in tutte le condizioni possibili, dall’ultravioletto all’infrarosso passando ovviamente per il visibile e i test più avanzati (spettrometria di massa accoppiata induttivamente al plasma, ad ablazione laser, LA-ICP-MS) per la rilevazione degli elementi in traccia. I Dati così raccolti costituiscono una serie di profili con cui confrontare le gemme che verranno poi di volta in volta sottoposte a verifica. Effettivamente al giorno d’oggi la battaglia si combatte con l’utilizzo di strumentazioni avanzatissime che sino a pochi anni fa erano quasi del tutto assenti in un laboratorio gemmologico e il cui utilizzo non è quasi mai alla portata del gemmologo medio. Sembrano definitivamente tramontati i tempi in cui ci si poteva azzardare a dividere in un lotto rubini tailandesi e birmani in base a come questi si accendevano sotto una lampada UV. Anche lo studio delle inclusioni caratteristiche al microscopio sembra veder franare molte storiche certezze, basti pensare alla prova principe che tutti i gemmologi cercavano con ansia in uno smeraldo per poterne attribuire senz’alcun ombra di dubbio la provenienza colombiana: la presenza di inclusioni trifasi (foto).

inclusione trifasica tipica dello smeraldo Colombiano
Oggi sappiamo che tale caratteristica è anche appannaggio degli smeraldi di provenienza cinese (miniera di Davdar) e Afgana (Panjshir). Alla luce di quanto detto si può capire quanto difficile sia il compito che i laboratori devono affrontare.
Tutto qui? No, non si tratta di dare solo del valore materiale. Bisogna fare i conti anche con il valore della responsabilità sociale.
L’identificazione dell’origine geografica può essere uno strumento straordinario per isolare quei paesi che foraggiano conflitti locali, abusi dei diritti umani, atti di terrorismo, sfruttamento indiscriminato delle risorse delle comunità locali per mezzo del commercio di alcune risorse naturali. L’opinione pubblica mondiale, sopratutto nell’ultimo decennio, ha fatto una crescente pressione affinché i temi etici trovino l’attenzione degli addetti ai lavori. Nel 2002 prende il via il processo di Kimberley, un accordo non vincolante tra molti paesi intenzionati a frenare gli illeciti collegati al commercio di diamanti grezzi. Questo dispositivo si regge su elaborate procedure giuridiche ma i presupposti tecnici che ne assicurano l’efficacia si riferiscono al metodo di classificazione dei diamanti grezzi messo a punto nel 1975 per De Beers dal dottor Jeff Harris. Il protocollo si basa sostanzialmente sulla classificazione dei caratteri morfologici dei cristalli, dando luogo di una carta d’identità (footprint) che consente di ricondurre il materiale ad un preciso giacimento diamantifero. Una limitazione non da poco: il sistema trova applicazione solo per lotti di diamanti grezzi. Del tutto diverso è il problema se si volesse tentare l’identificazione dell’origine di un diamante singolo e per di più già tagliato. In questo caso la scienza stessa naviga ancora in alto mare nonostante da anni si stiano facendo sforzi enormi per poter venire a capo della questione.

Vincent Pardieu: “Stabilire la provenienza delle gemme è una sfida complessa che richiede metodo e l’uso di tecniche combinate ed innovative”
Dall’ambiente asettico e freddo del classico laboratorio d’analisi all’inebriante avventura vissuta a diretto contatto della terra. Vincent Pardieu è uno dei gemmologi più esperti a livello mondiale nella ricerca gemmologica “sul campo”, attività che è alla base degli studi per la determinazione dell’origine di un pietra preziosa. Formatosi all’AIGS di Bangkok è poi passato in forze al laboratorio Gubelin per poi approdare due anni fa al GIA Bangkok come “Field Gemology Supervisor” . Pardieu ha coniugato la passione per i viaggi (www.fieldgemology.org, il sito che riporta buona parte dell’imponente serie di spedizioni sui siti di estrazione) con quella per la gemmologia. Lavoro arduo, avventuroso, e non privo di rischi, dalla malaria contratta in Madagascar all’arresto in Mozambico dovuto a malintesi con la polizia locale. Negli ultimi 2 anni di lavoro per il GIA ha raccolto e classificato più di 7000 campioni singoli significativi (più di 200.000 se includiamo quelli in lotti) in Tailandia, Cambogia, Laos, Vietnam, Madagascar, Tanzania, Mozambico, Pakistan e Afghanistan.
Da dove partire? “Un database di riferimento il più completo possibile è il primo requisito indispensabile per una seria ricerca sull’identificazione di provenienza. Raccogliere esemplari nelle aree di estrazione è un elemento cruciale, lo scorso giugno in Pakistan ho assistito all’apertura di nuovi tunnel con l’uso di esplosivo e ho avuto la possibilità di entrare per primo e raccogliere alcuni cristalli, certo, non si è sempre così fortunati e per questo è sempre bene procurarsi i campioni da più minatori, anche per ridurre il rischio, a volte presente, di acquistare sintetici mescolati ai naturali”.
Abbiamo la nostra bella gemma in laboratorio e desideriamo spingerci oltre la semplice constatazione della sua natura, ne vogliamo conoscere l’origine.
Come si fa? “Si effettuano tutti i test necessari e se ne mettono a confronto i risultati con i dati delle pietre di riferimento, tuttavia, in molti casi è veramente difficile stabilire la provenienza di una gemma. Facciamo l’esempio degli zaffiri: Sri-Lanka, Madagascar e Tanzania facevano parte, in tempi antichissimi, di un’unica regione. Gemme che oggi vengono rinvenute a migliaia di chilometri di distanza si formarono a seguito degli stessi eventi geologici e ne condividono le stesse caratteristiche.”
Aree tra loro remote in cui si estraggono materiali con genesi affini. Ma in distretti minerari di ridotte dimensioni le gemme si caratterizzano per fenomeni facilmente riconducibili a quel territorio?
“Prendiamo ad esempio la zona di Mogok, in Myanmar, una delle aree tradizionalmente più ricche al mondo quanto a varietà e qualità del materiale. Ci sono lì attualmente 4 o 5 giacimenti in cui si estraggono zaffiri e sebbene le distanze non siano così rilevanti, si possono comunque notare differenze nelle pietre. In più, alcuni giacimenti sono molto antichi, altri più recenti, quello che viene estratto oggi differisce per alcune caratteristiche da quanto portato alla luce in altre epoche.
Miniera di Mogok - Myanmar. Celebre per i suoi splendidi rubini


Zaffiro del Madagascar con la sua tipica tonalità di colore

Se, ad esempio il laboratorio dispone di un campione di riferimento molto vecchio di provenienza Mogok ci potrebbe essere il rischio di non trovare una corrispondenza con materiale estratto in tempi recenti.”
E per quanto riguarda il Madagascar?

“In quel paese conosco più di 20 giacimenti che producono zaffiri di cui il più importante e conosciuto è quello di Ilakaka ma si tratta di un’area lunga 150 km e larga 100 e non mi viene in mente molta gente che abbia visitato tutti i depositi della zona e possa dire che gli zaffiri estratti condividano le stesse caratteristiche. …”
Sembra che sul mercato le pietre con determinazione dell’origine siano sempre più apprezzate. Per il gemmologo questa è una nuova avventura, una nuova frontiera. Ma forse il suo bagaglio tecnico tradizionale è insufficiente…
“Certamente al giorno d’oggi la tecnologia ci mette a disposizione apparecchiature che consentono di aggiungere nuovi e sempre più concreti elementi per l’identificazione dell’origine, tuttavia il loro utilizzo e l’interpretazione dei dati che ne derivano necessitano spesso di personale altamente qualificato in molti casi dotato di un background scientifico specialistico. In più stiamo parlando di apparecchiature anche molto costose, non ci sono molti laboratori al mondo che possano dotarsene.”
Par di capire che l’utilizzo di queste tecnologie avanzate possa dunque risolvere il problema sull’identificazione certa di provenienza, è così?
“Nonostante tutto non è purtroppo sempre possibile giungere ad una identificazione dell’origine e in taluni casi non può essere rilasciata un’analisi completa di questo parametro, per tutti gli altri la formula è: probabile origine”.

scritto da Alberto Scarani, Paolo Minieri  

Gem Diamonds Profits Rise 43% in 2010

Gem Diamonds reported that net profits rose 43 percent to $36.2 million in 2010 and group revenues increased 9 percent to $266.4 million, driven by higher rough prices achieved in the fourth quarter. “During the year Gem Diamonds benefitted from the continuing recovery in rough and polished diamond prices and from the implementation of its new sales and marketing strategies,” said company chairman Roger Davis. “In the last quarter of the year prices for both Letšeng’s run of mine production and Ellendale’s fancy yellow diamonds achieved record prices.”
The rise in sales was achieved despite a 13 decrease in volumes sold at Gem Diamonds’ flagship Letšeng mine in Lesotho to 88,564 carats. The average price of Letšeng stones rose 40 percent year on year to $2,149 per carat in 2010. The average price in the fourth quarter was $3,291 per carat due to the roll out of Gem Diamonds’ new in-house marketing strategy, rising market prices and the sale of three exceptional white diamonds weighing more than 100 carats each.

Similarly, production sold at the Ellendale mine in Australia fell 48 percent year on year to 163,924 carats while the average price of the diamonds rose 105 percent to $475 per carat. Gem Diamonds reported that rough prices continued to rise in 2011 due to perceived shortages, while polished prices and volumes of trading have also increased.
The company reasoned that rough prices have risen as manufacturing in India has returned to pre-downturn levels; more credit was made available to the cutting centers; demand continued to rise in China and India, and reports indicated strong demand for diamond jewelry during the U.S. Christmas period. “This is already having an impact on rough diamond prices as retailers restock at the beginning of 2011,” the company reported. “Current market reports suggest that polished prices were actually undervalued and are now beginning to benefit from the underlying supply demand dynamic.” Gem Diamonds shares were trading down 5.7 percent at 245 pence in Tuesday morning trade on the London Stock Exchange.

Oro: domanda e offerta nel 2011

I dati emessi dal World Gold Council relativi all’andamento del mercato dell’oro durante il 2010 possono dare la misura di cosa accadrà durante il 2011.
Il dato degli acquisti d’oro effettuati dalle banche centrali sul mercato ufficiale durante il 2010 è di T 87,2. Durante lo scorso anno si è inoltre completata la vendita delle 403 tonnellate del FMI, quindi gli acquisti durante il 2011 saranno svolti interamente sul mercato ufficiale di Londra, il cuore del mercato a pronti dell’oro.
C’è anche un altro elemento da considerare. Mosca ha comprato T 3,4 lo scorso gennaio, continuando il trend di acquisizione che ha caratterizzato la politica della banca centrale russa durante il 2010. Il grosso dell’acquisizione di gennaio sembra provenga da produzione locale. La Cina sembra comportarsi allo stesso modo: acquista la produzione locale, e utilizza un’agenzia intermediaria in modo da poter tenere nascoste le acquisizioni effettuate sul mercato ufficiale. I dati effettivi delle acquisizioni vengono resi pubblici dalla Banca popolare cinese ogni 5 anni (l’ultimo dato è del 2008).
Sappiamo che la Cina durante il 2010 ha prodotto T 340 e ne ha importato più di T 300. Se è quindi vero che la Banca Popolare Cinese compra in incognito sul mercato internazionale, significa che le T 640 totali del 2010 sono state destinate al mercato privato. Secondo le stime di UBS, nei primi due mesi del 2011 sono state acquisite T 200: significa allora che la domanda privata è destinata a salire del 70% durante l’anno in corso rispetto al 2010. Inoltre, se la domanda rimane a questi livelli fino al prossimo dicembre, la domanda privata in Cina per il 2011 si quantifica in un totale di T 1.088.
La domanda di oro fisico da investimento sembra essere destinata a crescere, visto che nessuna delle banche centrali sembra interessata a sollevare i tassi di interesse, e i prezzi dell’energia e del cibo lievitano come conseguenza dei disordini nazionali e e dell’inflazione. Un panorama che renderà gli investimenti in oro ancora più appetibili.
Nel frattempo, la produzione mondiale potrebbe aumentare di T 100 durante il 2011, e l’oro riciclato continuerà ad essere una fonte di prodotto importante. Insieme potrebbero però non bastare per soddisfare una richiesta crescente.

Di Julian Phillips  – BullionVault.it

13/03/11

Argento: l’investimento del decennio

Potrebbe essere l’investimento del decennio a fronte di quotazioni che, già alla fine del 2011, potrebbero arrivare a toccare i 50 dollari l’oncia. Questo è su quanto scommette Eric Sprott, fondatore della società d’investimenti Sprott Asset Management LP, il quale, in accordo con quanto riportato da Mineweb.com, ha posto l’accento sul fatto che a fronte di una domanda di argento crescente l’offerta non risulta invece essere non solo crescente, ma anche elastica per far fronte ai picchi di richieste. Con la conseguenza, per certi versi inesorabile, di un aumento del prezzo del parente meno prezioso dell’oro che, allo stesso modo del metallo giallo, può avvantaggiarsi della congiuntura valutaria sfavorevole per il dollaro ma anche della crescente domanda di metalli preziosi da parte di Paesi come l’India e la Cina. Anzi, secondo Eric Sprott l’argento potrebbe ben presto “eclissare” l’oro proprio riguardo al suo potenziale di rivalutazione nel breve e nel medio termine. L’oro, dopo una corsa che dura undici anni, è sui massimi storici, mentre per l’argento non si può dire la stessa cosa; inoltre, il rapporto tra il prezzo di un’oncia d’oro e quello di un’oncia d’argento è troppo alto.

Secondo Eric Sprott il rapporto tra oro e argento, se quest’ultimo lo consideriamo in tutto e per tutto come moneta di scambio, dovrebbe essere di 16 a 1 e non di 48 a 1. Come mai questa forte differenza allora? Ebbene, secondo Eric Sprott il prezzo dell’argento viene tenuto basso, con manipolazioni, dalle grandi banche in quanto “non vogliono che i metalli preziosi diventino una moneta popolare alternativa al denaro“.

Scritto da filadelfo

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